Sei in fibrillazione, finalmente hai la possibilità di lasciare quell’orrendo posto di lavoro in cui il tuo collega ti guarda storto ogni giorno e non sai più cosa fotocopiare per alzarti dalla tua postazione e non passare del tempo accanto a lui.
C’è un nuovo fantastico datore di lavoro che ti aspetta, che ti ha sventolato sotto il naso una bella cifretta mensile, non sapendo che saresti andato a lavorare da lui anche per molto meno.
Beh, è andata bene. Se non fosse per quel piccolissimo particolare, un foglietto da firmare in cui ti leghi per sempre a lui, con un patto di non concorrenza esteso su tutto il mondo… però te lo pagano, quindi…
Quindi, prima, pensaci bene.
Se è pur vero che la giurisprudenza maggioritaria guarda con netto disfavore i patti di non concorrenza, dichiarandone spesso la nullità, è pur vero che possono nascondere parecchie insidie…anche per il lavoratore.
Un patto di non concorrenza deve rispondere, per essere valido, a moltissimi requisiti: di tempo, area geografica, di corrispettivo…
Il principio cardine su cui si basa una eventuale valutazione di un Giudice in merito alla nullità, o meno, di un patto di non concorrenza, è che non può essere così stringente da non poter lasciare che il lavoratore, una volta andatosene dall’azienda per la quale lavora, possa trovarsi una occupazione in linea con il proprio profilo professionale che gli consenta di sopravvivere… e magari far sopravvivere la sua famiglia.
Immaginatevi quanto può essere fumosa questa valutazione e, quindi, altamente discrezionale. In caso vogliate addentrarvi nella giurisprudenza più recente relativa ai patti di non concorrenza relativi al lavoro subordinato, vi trovereste immersi in un numero intricatissimo di pronunce, non sempre (anzi, quasi mai) unanimi tra loro.
Pertanto, nonostante non desideriate altro che andarvene lasciando la sedia del collega costellata di puntine da disegno, valutate bene se firmare quel patto… magari in compagnia del Vostro avvocato di fiducia…
Avv. Beatrice Perini