La famiglia passata indenne da una eredità, senza guerre e persone che si tolgono il saluto (nella migliore delle ipotesi), è veramente rarissima.
Il più delle volte crolla un sistema di relazioni, rotolando sempre più velocemente sul piano inclinato della guerra infinita.
Il caro estinto, magari, ha anche scritto un testamento, in cui col cuore in mano richiedeva armonia e accordi sereni tra gli eredi.
Sì… ma.
Difficile far contenti tutti, difficile ricordarsi del valore simbolico che per quel figlio aveva proprio quel pezzo di terreno in cui da bambino aveva seppellito la sua macchinina preferita.
E allora… il testamento deve essere veramente inattaccabile, sia dal punto di vista formale, che sostanziale.
Quali sono, allora, i principali requisiti perché un testamento possa essere considerato valido?
Innanzitutto, deve essere scritto e firmato a mano dal testatore (art. 606 c.c.). Sono nulli, pertanto, i testamenti scritti a macchina o a computer.
Importantissima è, inoltre, la sottoscrizione del testamento da parte del testatore.
Altro requisito è che sia scritta la data, chiara ed inequivocabile.
Le parole aggiunte da terzi, integrazioni o correzioni che siano, si considerano irrilevanti se non mutano la sostanza del testamento, mentre nel caso in cui concorrano a formare il contenuto delle disposizioni testamentarie comportano la nullità del testamento (così ha statuito la Cassazione, con la sentenza del 2 agosto 2002, n. 11733).
Ma… chi, se non un erede insoddisfatto, potrebbe aver interesse a far valere le mancanze dei requisiti necessari al testamento perché sia valido?
Cosa potrebbe portare lo zio d’America a tornare per sollevare questioni di validità formale?
Una volta dichiarata la nullità o ottenuto l’annullamento di un testamento, la legge prevede una serie di persone che entrano a far parte dell’asse ereditario.
La quota di legittima
Ma a prescindere dall’esistenza (e della validità) o meno del testamento, esistono dei soggetti a cui l’ordinamento italiano riserva una quota di eredità, salvo casi di una certa gravità.
Esistono infatti delle categorie di parenti (in primis, ma non solo, i figli) che hanno diritto a ricevere una percentuale dell’intero patrimonio del de cuius.
Nel nostro ordinamento se hai dei figli non puoi, pertanto, lasciare tutto ciò che hai alla fondazione per salvare i gatti randagi o qualsiasi altri animale o categoria umana.
Qualsiasi causa tu abbia a cuore, devi ricordarti, in caso volessi scrivere il tuo testamento, che non puoi prescindere da lasciare una parte del tuo patrimonio alle persone che, per legge, hanno diritto alla cosiddetta “quota di legittima”.
Questa quota, insieme al diritto di ottenere la divisione ereditaria (ai sensi dell’art. 713 c.c.), sono le principali motivazioni che come dinamite fanno spesso crollare l’armonia di famiglie intere.
Ebbene, oltre ad un discorso di correttezza formale e sostanziale del testamento, e dinanzi alla spartizione del patrimonio del defunto, possono sorgere contestazioni derivanti da motivazioni di ordine psicologico, per le quali il valore di un immobile, o di un oggetto, per quel singolo erede, può non avere nulla a che fare con una quantificazione economica: l’orologio del nonno, patacca orrenda non funzionante ma piena di valore affettivo; il vecchio pianoforte verticale senza qualche tasto su cui suonava a Natale la zia, scatenando danze sfrenate.
La strada della mediazione
Anche in tutti questi casi, la mediazione (di cui abbiamo parlato qui) potrebbe essere una strada percorribile, per procedere all’interno dei confini della legge, ma con un occhio di riguardo anche alle aspirazioni inerenti al valore simbolico di ciò che una persona lascia.
Intraprendere la strada della mediazione in materia ereditaria può consentire di trovarsi intorno ad un tavolo, guardarsi negli occhi, esporre ed accogliere i desideri di tutte le parti, con la guida di una persona competente di diritto, ma anche di negoziazione e comunicazione (un avvocato mediatore), che può guidare verso soluzioni condivise.
Quante volte mi è capitato di leggere nei testamenti la raccomandazione ad andare d’accordo, a non litigare, a trovare soluzioni condivise. Le divisioni familiari, magari tra fratelli, sono dolorosissime: si condividono gli affetti, i luoghi dell’infanzia, i ricordi.
Sono strappi che, non vivendo sotto lo stesso tetto, spesso non si ricuciono più.
Scegliere la strada della mediazione può salvare la serenità di famiglie intere, regalando legami e affetti in più ai nostri figli ed ai nostri nipoti. Vuol dire poter contare ancora su relazioni profonde che arrivano da lontano, ricordare le proprie radici, salvare una continuità generazionale di affetti così importante per noi e i nostri figli.
Non vale forse la pena tentare?