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“Avvocato, non sono un bancomat!”

Recentissimo provvedimento del Tribunale di Bari del 22 luglio 2022 in merito alla richiesta da parte di una madre di ottenere l’aumento del contributo paterno al mantenimento del figlio nonchè l’affidamento esclusivo del minore.

La richiesta, che sopraggiunge a meno di due anni dal divorzio congiunto, era basata su varie asserzioni della ricorrente, la quale sosteneva di aver visto migliorare le condizioni economiche dell’ex, di aver notato un suo disinteresse nei confronti del bambino, peraltro disabile, e in generale di aver necessità di una somma più alta per gestire il piccolo, il tutto con richiesta di affidamento esclusivo del minore in favore della madre.

Il Tribunale di Bari, Volontaria Giurisdizione, I^ sezione civile, con un decreto veramente interessante ed articolato, oltre che approfonditamente motivato, rigetta in toto il ricorso con condanna della madre alle spese del procedimento, così argomentando:

“In diritto:

1. È risaputo che la possibilità di ottenere ex art. 710 c.p.c. la modifica dei provvedimenti economici adottati con la sentenza di separazione giudiziale è subordinata alla condizione del sopravvenire di fatti nuovi rispetto alle circostanze valutate in sede di emissione degli stessi provvedimenti: tale conclusione trova il suo fondamento giuridico nell’art. 156 ult. co. C.C., il quale, con dizione sostanzialmente analoga a quella adottata dall’art. 9 L. n. 898/70 in tema di divorzio, ricollega la revoca o la modifica dei provvedimenti adottati in forza di quella norma al sopravvenire di “giustificati motivi”.

La legge, infatti, non attribuisce al procedimento ex art. 710 c.p.c. natura di revisio prioris istantiae, e quindi di rivisitazione (melius re perpensa) delle determinazioni già adottate nel giudizio di separazione, ma di novum iudicium, perché lo considera finalizzato ad adeguare la regolamentazione dei rapporti tra i coniugi e rispetto alla prole al mutamento della situazione di fatto, laddove una siffatta modificazione concretamente incida sulle loro condizioni patrimoniali e/o personali, determinandone uno squilibrio profondo.

Ancora assai di recente la S. C., reiterando in subiecta materia un orientamento ormai pacifico – estensibile per analogia alla materia della separazione (in ragione della eadem ratio delle norme degli artt. 9 L. n. 898/70 da un canto e 156 ult. co C.C. e 710 c.p.c. dall’altro) – ha affermato che: “In tema di divorzio e di revisione delle statuizioni di carattere patrimoniale contenute nella sentenza di divorzio, con la domanda di cui all’art. 9 L. n. 898/70 il giudice non è chiamato ad un rinnovato accertamento della spettanza e ad una nuova quantificazione dell’assegno sulla base dei criteri indicati dall’art. 5, ma a valutare se siano sopravvenute circostanze tali da determinare la sua eliminazione o la modifica in aumento o in diminuzione, importando il riferimento alla sopravvenienza dei giustificati motivi l’essenziale valorizzazione delle variazioni patrimoniali intervenute successivamente al divorzio, dedotte dalla parte istante” (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 13/2/2003 n. 2147).

In materia di diritto di famiglia la natura stessa della decisione, emessa rebus sic stantibus e priva, quindi, del carattere dell’irretrattabilità, nonché la riconosciuta facoltà delle parti di chiedere in ogni tempo la revisione delle condizioni di separazione e di divorzio in base al modificarsi della situazione sostanziale impongono al giudice l’esame di ogni comprovato ed obiettivo mutamento verificatosi nella condizione delle parti che determini l’esigenza di un riequilibrio delle rispettive posizioni (cfr. Corte d’Appello Roma, Sez. Persone e Famiglia, 7/2/2003 n. 600).

Se tale è l’oggetto della delibazione rimessa al giudice in sede di giudizio di revisione, ne consegue che lo scrutinio circa la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle reciproche domande deve intervenire solo dopo che sia stato accertato il sopraggiungere delle nuove circostanze (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 24/9/2002 n. 13863).

2. Nel caso di specie, fermo restando che non appare necessaria ulteriore attività istruttoria sulla scorta delle esaustive risultanze documentali e delle rispettive allegazioni difensive, va osservato che la ricorrente non ha provato un mutamento della situazione pregressa tale da giustificare l’aumento del contributo paterno al mantenimento del figlio minorenne. Ella non ha neppure fornito il dato comparativo che avrebbe potuto consentire al Collegio di confrontare i dati reddituali dichiarati all’epoca della sentenza divorzile con quelli attuali”.

È pertanto sottolineato l’onere da parte del ricorrente di provare le modifiche reddituali della controparte.

Qualche precisazione

Si precisa, inoltre, come sia necessario includere nella valutazione complessiva sulla congruità dell’assegno di mantenimento non unicamente la somma ad esso relativa, ma l’assegno unico universale (già percepito interamente dal genitore collocatario), la percentuale di spese straordinarie di competenza dell’altro genitore ed eventuali altri redditi percepiti dal figlio (come ad esempio l’indennità di frequenza).

Anche per quanto concerne la richiesta di affidamento esclusivo del bambino è necessario fornire prove adeguate a sostegno di tale domanda, non essendo sufficiente l’accusa di un generico “disinteresse”.

Il provvedimento non rinuncia a richiamare, prima delle conclusioni, al benessere del minore: “in ogni caso, è bene evidenziare alle parti che la disabilità di cui è affetto il minore impone ad entrambi i genitori la massima collaborazione tra loro, onde evitare di aggravare ulteriormente lo stato di salute del loro comune figlio, al cui preminente interesse dovrebbero essere dirette tutte le rispettive risorse economiche e, soprattutto, affettive”.

Rileva, infatti, anche il comportamento della madre nella scelta da parte del Giudice relativa al tipo di affidamento: nel caso di specie, infatti, dalla documentazione acquisita tramite la difesa del resistente si verificavano una serie di carenze di cura ed educative da parte del genitore collocatario e ciò costituiva oggetto di numerose contestazioni da parte del padre: il bambino non frequentava regolarmente la scuola, non veniva sottoposto a cure mediche specialistiche di cui necessitava, non veniva inserito in un centro socio educativo come concordato in sede di convenzione di divorzio.

Il Giudice ritiene rilevante ai fini della conferma dell’affidamento condiviso l’interesse alla cura del minore, i contatti con il pediatra, il controllo della frequenza e rendimento scolastico tramite accesso al registro elettronico scolastico da parte del padre.

Un provvedimento che fa piacere due volte: prima di tutto perché si tutela un papà, che, emerge tra le righe, ama il suo bambino, pur nella grande difficoltà di gestire la vita e le difficoltà economiche e lavorative. In secondo luogo, perché è una vittoria di una cara Collega ed amica.

Avv. Beatrice Perini – Altri articoli del blog